HENRY MAURICE
 
ARTISTA OPERE MOSTRE IN ASTA
 

Cambrai 1907 - Milano 1984 Humour noir È indubbio l‘effetto liberatorio di una buona risata; quante volte ci sarà capitato di sperimentarlo trovandoci in compagnia di amici e di provare piacere nell‘udire o nel raccontare brevi aneddoti divertenti su presenti o assenti. Ben di rado ci si chiede però come questo avvenga e per quale motivo, o meglio, per mezzo di quale meccanica venga stimolata quella sensazione che ci fa sorridere o addirittura sganasciare dalle risate fino alle lacrime. Motto di spirito, humour e comicità (a vari livelli), per motivazioni, meccanica e effetto, costituiscono un interessante parallelo concordante con i processi del ‘lavoro onirico‘. Sigmund Freud ne ha fatto oggetto di particolari studi in un testo oramai classico: il motto di spirito. Maurice Henry, surrealista per vocazione e per ufficiale adesione al gruppo storico francese nel 1932, dell‘umorismo ha fatto una professione parallela e coerente con la propria attività artistica. Pittore, scenografo, fotografo, regista... e altro, instancabile e effervescente fino al momento della morte (nel 1984 al volante della propria auto per un malore), ci ha lasciato, oltre a un gran numero di quadri, foto, oggetti-scultura e ventisette film, ben 26 000 vignette umoristiche eseguite per 350 giornali. La citazione delle teorie freudiane, pertinenti per l‘analisi dello humour di Henry, serve anche come riferimento storico, poiché i surrealisti stessi, nelle loro istanze artistiche, vi si ponevano apertamente e dichiaratamente in relazione. "Si direbbe che si debba a un caso fortunato se di recente è stata riportata alla luce una parte del mondo intellettuale, a mio parere di gran lunga la più importante, di cui si ostentava di non tenere più conto. Bisogna renderne grazie alle scoperte di Freud. In forza di queste scoperte, si delinea finalmente una corrente di opinione grazie alla quale l‘esploratore umano potrà spingere più avanti le proprie investigazioni, sentendosi ormai autorizzato a non considerare soltanto le realtà sommarie". Così si espresse lo stesso André Breton, teorico del gruppo surrealista, nel primo manifesto del 1924; alcuni anni più tardi, nella prefazione all‘Antologia dello humour nero (1939), avrebbe citato Freud ampiamente e con preciso riferimento al valore liberatorio e sublimante insito nello stesso humour. Secondo Freud il motto di spirito, la comicità, I‘humour e il sogno hanno, in sostanza, la stessa radice, cioè l‘inconscio. L‘ilarità legata alle barzellette o alle battute dei comici è dovuta al fatto che le tendenze conflittuali presenti nell‘inconscio di ciascuno possono essere espresse attraverso il travestimento del motto di spirito che elude, così, la ferrea censura esercitata dalle nostre istanze morali, rappresentate dal Super lo costituito da tutti quegli insegnamenti che abbiamo avuto nella nostra infanzia dai genitori o dall‘ambiente in cui siamo vissuti. Per Freud il motto di spirito (come la barzelletta) costituisce una vera e propria opera d‘arte e utilizza gli stessi meccanismi d‘espressione del sogno, che consistono in varie fasi comprendenti il processo di condensazione, per cui più parole vengono fuse in una sola, I‘impiego duplice dello stesso materiale verbale, per cui una singola espressione può esprimere cose diverse, il doppio senso. A conclusione di questi processi si ha la liberazione dei contenuti presenti nel nostro inconscio e lo sprigionamento dell‘energia psichica che prima li bloccava (censura). È proprio la liberazione improvvisa di questa energia quella che, sempre secondo la teoria di Freud, scatena la risata in chi ascolta una barzelletta. Sempre nei motti di spirito, la psicoanalisi distingue uno ‘spirito licenzioso‘ e uno ‘spirito aggressivo‘: nel primo caso abbiamo la barzelletta a sfondo sessuale, nel secondo lo sblocco dell‘aggressività avviene invece attraverso un travestimento umoristico che consente di colpire l‘avversario, senza tuttavia dare l‘impressione di un attacco diretto. Il valore dei motti di spirito, delle barzellette e della comicità, in genere, è per Freud di tipo economico: infatti con questo metodo la nostra psiche riesce a liberare energie, altrimenti bloccate nell‘inconscio, e contemporaneamente raggiunge un preciso obiettivo: la liberazione di desideri sessuali o aggressivi. Nel 1946 Breton scriveva: "L‘idea immagine surrealista, in tutta la sua freschezza originaria, continua a manifestarsi in Maurice Henry ogni volta che, in un mattino ancora insonnolito, mi porta la primizia d‘uno dei suoi disegni fatti per il giornale (e allora sono contento e penso che con i bei modi, i suoi, abbiamo capito il mondo)". Maurice, eterno bambino come tutti lo conoscevano, ha speso la sua vita nel ricercare e nell‘indicarci come meta dei nostri sforzi quelI‘euforia, quel ritrovamento "dello stato d‘animo dell‘infanzia", come scrive Freud, "quando ignoravamo la comicità, quando eravamo incapaci di creare motti di spirito e quando non avevamo bisogno dello humour per sentirci felici di vivere". Le vignette di Henry sono da ascriversi per la maggior parte alla categoria freudiana dello humour e precisamente a quel ‘Galgenhumour‘ (letteralmente humour da forca o macabro) che Breton avrebbe poi riconiato come ‘noir‘; ma talvolta il comico, e più spesso il motto di spirito, hanno costituito per lui genere di espressione estremamente efficace. La finalità dello humour consiste, per Freud, nel sostituire il piacere del riso a emozioni penose quali la pietà, la rabbia o il dolore. Il tema della morte e della ‘vanità‘ del corpo (e, per diretto riflesso, della sessualità) sono per Henry estremamente consueti e ricchi di sfaccettature; molte sono le sue vignette che rivelano grande abilità tecnica (costruzione del disegno e strutturazione del contenuto) a trasferire nell‘umorismo le piccole grandi pene della vita ma, soprattutto, il timore della morte che, chi conosceva Henry, sapeva ben radicato in lui. Mostre in galleria 1993 Les correspondances secretes Dada, Surrealismo&… a cura di L. Meneghelli - catalogo 1997 1912-1997 Il corpo in scena a cura di C. Morato 2005 DISEGNITUDINE, a cura di F. Strigoli

 
 
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